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Tempo della memoria

 Memoria del tempo.

Dalla terrazza, mentre lo sguardo si perde nel volo ordinato di un ampio stormo di uccelli che attraversa il cielo da est a ovest, si percepisce un senso di movimento continuo, ciclico, quasi rituale. L’alba non porta sollievo: sembra piuttosto il segnale di un nuovo giorno in cui niente è cambiato, dove il tempo scorre senza fermarsi alle speranze degli uomini. C’è una sorta di tristezza diffusa, quella che nasce quando ci si rende conto che il desiderio di rallentare la realtà non è stato sufficiente a modificarla.

 L’ignoranza, oggi più che mai, si presenta come una forza pervasiva, capace di attrarre e coinvolgere soprattutto quelle persone che vivono in una condizione di fragilità esistenziale. Non è semplice mancanza di conoscenza: è una forma di conoscenza distorta , che si alimenta di menzogne ben confezionate e di narrazioni persuasive. In molti contesti locali, ad esempio, prevale una sorta di autoinganno collettivo, una convinzione diffusa di essere “più furbi” degli altri. Ma questa furbizia spesso si riduce a una corsa al guadagno facile, dentro un’illusione condivisa, un sogno collettivo che promette accessi immediati a livelli di vita alti o addirittura elevatissimi — senza competenze, senza fatica.

 Questa finzione sociale si nutre dell’ingenuità delle persone, che vengono attirate da discorsi seducenti, pieni di promesse irrealistiche. Si ignora la propria reale situazione finanziaria, ma soprattutto si sottovaluta la capacità di comprendere la qualità del proprio lavoro e il valore reale delle proprie competenze. Le cosiddette “allucinazioni”, ovvero messaggi convincenti ma privi di fondamento, sono diventate uno dei nodi centrali del nostro tempo. E non si tratta solo di errori occasionali: sono vere e proprie strategie comunicative che costruiscono una realtà alternativa, spesso più attraente di quella reale.

 In questo quadro, l’ignoranza e la scarsa consapevolezza di sé generano dinamiche di sfruttamento. Le persone vengono spinte a credere che sia possibile salire di grado professionale o sociale senza averne i requisiti, e questo crea un sistema parallelo di valori, distante da qualsiasi logica meritocratica. È una sorta di capitalismo deformato, in cui il benessere viene venduto come un prodotto emotivo: spot pubblicitari, narrazioni emozionali, slogan accattivanti spingono al consumo e all’accumulo, ma distruggono il senso critico, l’educazione al pensiero riflessivo. Così si assiste a una disgregazione sociale silenziosa, difficile da contrastare perché radicata nei modi stessi in cui comunichiamo e ci raccontiamo.

 Quando non si riesce a dare una spiegazione razionale ai problemi, ecco che si invoca la guerra come metafora universale del male, come se fosse sempre e comunque la causa ultima di ogni crisi. Una retorica che serve a scaricare responsabilità, evitando di guardare dentro sé stessi o nelle pieghe del proprio sistema culturale.

 La memoria, intesa come capacità di ricordare eventi personali e contestuali (quella che in ambito scientifico si chiama “memoria episodica”), dovrebbe aiutarci a orientarci nel presente, ma spesso viene manipolata. Il modello cognitivo che usiamo per elaborarla permette di reinterpretare, modificare, dimenticare o ricostruire i fatti in base alla finalità che vogliamo raggiungere. Questo processo, purtroppo, può portare alla formazione di una memoria associativa distorta, basata su informazioni incomplete o errate, che genera sofferenza, malintesi e conflitti.

 Senza una capacità di rielaborare criticamente la memoria, non possiamo distinguere tra ciò che è realmente accaduto e ciò che abbiamo immaginato o desiderato che accadesse. Siamo così intrappolati in una serie di illusioni comunicative che ci isolano dalla realtà oggettiva e dagli altri.

 In questa condizione di immobilismo, si continua a inseguire un passato idealizzato, dove si immaginava di guadagnare tanto senza fatica, come se quel breve periodo di apparente prosperità potesse durare per sempre. Era però un sogno costruito artificialmente, grazie a una comunicazione pubblicitaria emotiva e poco trasparente, che ha incentivato sprechi, superficialità e una progressiva perdita di valori educativi. Oggi ci troviamo a fare i conti con una civiltà che si muove sempre più per impulsi emotivi, senza una guida razionale né un progetto condiviso.

 Non esiste una soluzione rapida, ma c’è la possibilità di lavorare su una diversa gestione della memoria e della comunicazione. Ricostruire una narrazione onesta del proprio passato, imparare a leggere criticamente i messaggi che riceviamo, sviluppare una maggiore consapevolezza del proprio ruolo sociale: questi possono essere passi verso una comprensione più autentica di sé e del mondo.

 Perché alla fine, al di là delle grandi narrazioni storiche, ognuno vive un presente fragile, complicato da una ripresa geopolitica lenta, da ritardi accumulati e da eredità culturali ancora vive. Per alcuni, certi modelli del passato — come la colonizzazione — mantengono una strana seduzione ideale. Per altri, invece, il concetto di qualità della vita si è allargato, diventando collettivo: non riguarda più solo me stesso, ma anche il bene comune.

 Tempo e memoria sono due dimensioni fondamentali della nostra esperienza umana, ma oggi si confondono. Nessuno sembra davvero sapere cosa sia il tempo, né come funzioni la memoria. Eppure ne facciamo uso quotidiano, e su di essi si basa la costruzione del nostro sé sociale.

 Anche le tecnologie più avanzate, come i sistemi di intelligenza artificiale sviluppati da aziende come OpenAI, Google e DeepSeek, risentono di questa ambiguità. Nonostante le loro capacità crescano esponenzialmente, commettono sempre più errori: le cosiddette "allucinazioni" dell’IA aumentano, e nessuno sa con precisione il motivo. Anche le macchine, insomma, costruiscono realtà basate su dati imperfetti, molto come facciamo noi umani.

Questo ci pone di fronte a una questione profonda: se da un lato l’intelligenza artificiale ci specchia in alcune nostre fragilità cognitive, dall’altro ci ricorda che, a differenza delle macchine, possediamo una capacità unica: quella di scegliere, di prendere coscienza del nostro agire e di modificare la direzione del nostro pensiero. Uscire dal ciclo delle illusioni richiede quindi non solo miglioramenti tecnologici, ma un vero e proprio cambio di paradigma culturale: un ripensamento radicale del modo in cui selezioniamo, interpretiamo e diamo significato alle informazioni che riceviamo.

 La posta in gioco è alta: si tratta di uscire dall’immobilità del presente per costruire un futuro meno ingannevole, per entrambe le intelligenze — quella umana e quella artificiale.

-mm-